Nomofobia e FoMo: le nuove dipendenze degli adolescenti iperconnessi

Gli smartphone hanno reso i telefoni degli strumenti necessari e indispensabili alla nostra quotidianità.

Ma la facilità d’uso e la velocità con cui ciascuna azione può essere fatta possono renderci talmente dipendenti da questa tecnologia che il bisogno dello smartphone può sfociare in vere e proprie condizioni patologiche, soprattutto fra gli adolescenti .

Tra le sindromi ormai conosciute e studiate c’è la NOMOFOBIA ( “No mobile (phone) Fobia” o “Sindrome da Disconnessione”) che si manifesta con la paura di rimanere senza connessione o senza batteria in modo da non poter avere più accesso al cellulare.

E’ una condizione che puo’ causare stati di ansia, malessere, irrequietezza e aggressività fino a generare una vera e propria dipendenza patologica poiché non si riesce più a fare a meno di una connessione Internet.

Secondo David Greenfield, professore di psichiatria all’università del Connecticut, l’attaccamento allo smartphone è molto simile a tutte le altre dipendenze in quanto causa delle interferenze nella produzione della dopamina, il neurotrasmettitore che regola il circuito celebrale della ricompensa: in altre parole, incoraggia le persone a svolgere attività che credono gli daranno piacere. Così ogni volta che vediamo apparire una notifica sul telefono cellulare sale il livello di dopamina, perché pensiamo che ci sia in serbo per noi qualche cosa di nuovo e di interessante.

Il problema, però, è che non si può sapere in anticipo se accadrà veramente qualche cosa di bello, così si ha l’impulso di controllare in continuazione il cellulare innescando lo stesso meccanismo che si attiva in un giocatore di azzardo che continua a giocare con considerando le conseguenze a cui sta andando incontro.

La Nomofobia è una sindrome che si accompagna e che spesso è la conseguenza di un’altra condizione diffusa principalmente tra gli adolescenti e i giovani adulti: la FoMo

LA FOMO, che letteralmente significa Fear of missing out (Paura di essere tagliati fuori), è caratterizzata dall’ansia di essere tagliati fuori da esperienze gratificanti che fanno altre persone.

La  paura di essere esclusi è sempre esistita ed è strettamente collegata al bisogno di appartenenza che tutti abbiamo.

Tuttavia, con gli smartphone e soprattutto l’ubiquità dei social network, questo timore si amplifica. La facilità con cui possiamo vedere ciò che fanno gli altri può, attraverso il confronto può generare la paura di “non vivere al meglio” come gli altri.

Cosa stanno facendo? Qualcosa di interessante? Cosa mi sto perdendo? Perchè io non posso essere lì?

Queste sono solo alcune delle domande che può farsi chi tende a controllare spesso, a volte in maniera ossessiva, i social network (Facebook, Instagram, Twitter, ecc..), attivando così la necessità di rimanere costantemente legato al proprio smartphone, tablet o pc.

È una vera e propria forma di ansia sociale.

Per una persona insicura, insoddisfatta e con bassi livelli di autostima, vedere un “post” con tante persone, soprattutto coetanei che si divertono, potrebbe diventare qualcosa di inaccettabile, provocare risentimento verso se stessi o gli altri, insoddisfazione, agitazione e senso di incapacità.

Non parliamo di una patologia riconosciuta a livello clinico, ma la sua presenza può peggiorare una pregressa condizione di aspetti ansiosi/depressivi.

Soprattutto fra i adolescenti queste condizioni rischiano di compromettere un sano sviluppo delle capacità emotive e sociali.

E’ importante aiutare gli adolescenti ad avere un sano ed equilibrato rapporto con la tecnologia mobile sottolineando sempre l’importanza di sperimentarsi e nel mondo “reale”, fatto di scambi “dal vivo” confronti, sentimenti provati che permettano di compensare la velocità con cui si vivono le relazioni e le emozioni nel web.

Alcol e adolescenza

L’uso di alcol è ampiamente diffuso tra i giovani. Le sue manifestazioni sono cambiate negli anni e lo scenario che oggi ci troviamo di fronte è diventato sempre più complesso.

L’età della prima bevuta si è abbassata notevolmente rispetto al passato: si beve già intorno agli 11 anni.

Tra i ragazzi tra gli 11 e i 15 anni la modalità più utilizzata è quella di un abuso di alcol concentrato in singole occasioni, in particolare, nei fine settimana: alle feste, durante gli aperitivi, in discoteca, raramente da soli. Ma in una stessa sera è possibile che si concentrino molte bevute.

Questo tipo di modalità è quella del binge drinking che letteralmente significa “abbuffata alcolica”.

Lo  scopo principale di queste bevute compulsive è la perdita di controllo,  l’ubriacatura. Spesso quindi la sostanza rappresenta solo un mezzo e non il fine.

La prima intossicazione alcolica si verifica di solito intorno ai 13 anni, l’abuso tende poi ad intensificarsi durante l’adolescenza mostrando un picco massimo tra i 18 e i 22 anni, con un tasso più elevato in particolare tra i giovani studenti universitari.

Altre modalità del bere non meno pericolose si sono diffuse già da un po’ tra gli adolescenti.

Il drelfie (da drunk + selfie) che consiste nel farsi fotografare ubriachi, nelle peggiori condizioni, mentre si vomita in uno stato di semi incoscienza. Le foto sono poi messe a disposizione del web a caccia di “like”.

Anche il pub crawl è una nuova moda rischiosa che consiste nel bere alcolici in diversi pub nell’arco di una sola serata, solitamente muovendosi a piedi da un locale all’altro. Normalmente il numero di pub visitati in un pub crawl è un multiplo di 3 fino ad un massimo di 18.

E per finire  l’eyeballing, alcol negli occhi. È la moda di portare l’imboccatura di una bottiglia (di vodka, ad esempio) a livello dell’occhio, come se la si stesse bevendo, per ottenere, si dice, effetti di euforia ed ebbrezza. Ma i ragazzi che praticano l’eyeballing ci arrivano già talmente ubriachi che è difficile credere che l’effetto sia reale, anche perché tale pratica provoca persino una temporanea cecità e può causare danni oculari permanenti.

Nel 2019 è stata effettuata una  ricerca dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, effettuata su un campione di  518 studenti di età compresa tra i 13 e i 19 anni molto interessante.

Non si parla di vera e propria dipendenza ma piuttosto  di un utilizzo occasionale correlato a momenti sia positivi che negativi della vita dei ragazzi.

Una cattiva abitudine che produce alterazioni a livello neurologico, cardiaco, gastrointestinale, ematico, immunitario, endocrino e muscolo-scheletrico, gravi conseguenze che spesso i ragazzi neanche conoscono.

Nel breve termine le conseguenze e le azioni che possono mettere a rischio la vita, come il coma etilico o gli incidenti stradali rischiano di ledere l’identità dell’individuo, in un periodo della vita in cui questa stessa identità personale è in fase di formazione. 

Nel lungo termine invece l’alcol può diventare un vero e proprio regolatore emotivo, l’unico modo per “stare” in gruppo. Ogni situazione può dover essere mediata dall’alcol: si beve per dimenticare o per festeggiare: se una storia d’amore finisce oppure se la squadra del cuore vince una partita. Si beve quindi per sfuggire alle emozioni negative e per esaltare quelle positive senza conoscerne bene le pericolose conseguenze

Succede anche che, in maniera più intenzionale, gli adolescenti bevano per trasgredire pur conoscendone i rischi. In questo caso l’alcol, vietato fino ai 18 anni, diventa, prima di questa età, un comportamento di rottura, col quale l’adolescente sfida il rischio e il mondo adulto per trovare la sua identità.

La necessità di attuare strategie terapeutiche e di prevenzione è fuori discussione ma è importante che la prevenzione inizi in famiglia.

Credo siano molto interessanti  i 10 consigli ai genitori e ai familiari proposti dall’Osservatorio su fumo, alcol e droga dell’Istituto Superiore di Sanità, spunti di riflessione interessanti.

1) Provocateli: smontate con loro gli spot televisivi, analizzate i comportamenti socialmente accettati e diffusi, stimolateli a distinguersi dal branco e a essere informati.

2) Date un buon esempio: se consumate alcolici in casa, fate in modo che siano una componente ordinaria ma moderata dei pasti, senza eccessi. Dimostrate loro che ci si diverte e si sta bene anche senza alcol.

3) Informateli: parlate loro dell’alcol e dei possibili danni ad esso associati sin da bambini, non aspettate l’adolescenza, periodo di ribellione e sfida verso il “buon senso” degli adulti.

4) Distinguete: ci sono persone a cui l’alcol fa più male che ad altri. Sono i ragazzi con meno di 16 anni, ancora particolarmente vulnerabili, le femmine, che riescono a eliminare la metà della quantità di alcol che smaltisce un organismo maschile, chi deve guidare, che a qualsiasi età può diventare un pericolo mortale per sé e per gli altri.

5)  Allertate le ragazze: oltre al fatto, già citato, che le donne soffrono gli effetti negativi dell’alcol più dei maschi, vanno tenuti presenti i pericoli legati al genere femminile, come il rischio di gravidanze indesiderate o infezioni sessualmente trasmesse, oltre ai danni per il feto in una futura maternità.

6) Educateli alla differenza fra uso e abuso: assicuratevi che abbiano presenti i rischi legati alla perdita di controllo e all’ alterazione delle proprie capacità, alla guida, in un locale, di fronte al giudizio di estranei e amici.

7)  Insegnate loro a leggere le etichette: che sappiano cos’è la gradazione alcolica e diventino consumatori consapevoli.

8) Fate loro sapere che l’alcol dà dipendenza.

9) Offrite loro la possibilità di divertirsi con gli amici, a casa e fuori, imparando che esiste una convivialità analcolica.

10)  Vigilate su di loro.  Non potrete proteggerli 24 ore su 24, ma tenete gli occhi e i canali di comunicazione sempre aperti.

Spesso è attraverso i genitori che si riesce ad aiutare l’adolescente in difficoltà con delle consulenze che permettano loro di comprendere meglio le dinamiche e il modo di supportare il proprio figlio. Altre volte la richiesta di aiuto diventa il passaggio necessario per un intervento mirato sul ragazzo/a. In ogni caso un’intervento precoce è fondamentale per evitare che al problema dell’alcol ne seguano ancora altri più dannosi per la crescita psicologica dell’adolescente.