Non posso vivere nè con te nè senza di te….la dipendenza affettiva

In una RELAZIONE SANA gli aspetti di dipendenza si bilanciano sempre con la capacità di scelta dell’individuo.

Piacere, arricchimento e crescita viaggiano reciprocamente, in entrambe le direzioni

Nella DIPENDENZA AFFETTIVA  invece uno dei partner – una volta più spesso era la donna ma adesso capita anche agli uomini – tende a “funzionare” in modo prevalente o in certi casi esclusivo in modalità dipendente. Chi si trova in questa posizione  perde quote sempre maggiori di potere personale, autonomia, indipendenza e libertà di scelta,

Chi è il  dipendente affettivo?

Prima di tutto è una persona che ricerca partner poco amorevoli. Si lascia sedurre da chi rappresenta in qualche modo il suo opposto, ossia da un soggetto che incarna un’immagine “forte”, di sicurezza.

Sceglie partner autoreferenziali, per non dire narcisisti che tendono a promettere tanto soprattutto all’inizio della relazione assolvendo a quella funzione salvifica che il dipendente cerca per ripercorrere un copione familiare al quale spera di dare un finale diverso, fatto di presenza e riconoscimento e non di vissuto abbandonico e di solitudine il più delle volte sperimentato durante l’infanzia.

Pur di non rivivere il sentimento il dipendente affettivo è disposto ad accettare di tutto  per  mantenere il rapporto.

E invece di riscattare la propria infanzia deprivata il dipendente affettivo si ritrova a riprodurre esattamente la propria storia affettiva legandosi a persone che non sono in grado di amarli

Il partner diventa il custode delle funzioni di autoregolazione dell’autostima e del contenimento degli stati d’ansia fino ad essere indispensabile per il mantenimento del senso d’integrità e coesione personale.

Se lui/lei se ne va io vado in pezzi.

Quando si perdono queste funzioni di autoregolazione, il dipendente affettivo entra nel panico e si tutela dalla possibilità di non vivere più questo disagio solo garantendosi la prossimità del partner.

Il partner diventa così fondamentale per mantenere l’equilibrio psichico. Non tollerandone la distanza rende molto difficile un’eventuale separazione ed elaborazione della perdita.


La persona dipendente si trova così a condurre una sorta di esistenza di servizio dal punto di vista affettivo, accettando e tollerando qualsiasi cosa venga dal partner, a volte anche lasciando innescare cicli di violenza


Questo è il paradosso tipico di ogni condizione di tossicodipendenza, dove si punta tutto per ottenere un certo tipo di risultato e ci si ritrova a vivere nella situazione esattamente opposta.

Il dipendente affettivo nutre l’illusione di aver trovato la figura salvifica che lo risolleverà dalla situazione depressiva di solitudine e abbandono nella quale si sente e finisce per diventare la persona più sola, abbandonata e deprivata che ci possa essere dentro una relazione, un po’ come accade all’eroinomane che cerca negli oppiacei una sedazione assoluta da ogni dolore finendo poi per essere travolto dai morsi terribili dell’astinenza.

Che si puo fare?

  • Imparare a vivere la solitudine come opportunità e momento di crescita
  • Accettare la propria storia di vita e familiare per non riprodurla.
  • Rivedere i propri miti sull’amore che salva e per il quale ci si sacrifica perché la realtà è  che nessuno salva nessuno e l’amore non c’entra niente con questo genere di visione

E’ difficile riuscire a fare tutto questo da soli.

Un percorso di psicoterapia è la strada da percorrere per uscire dalla dipendenza con l’aiuto e il sostegno necessario.

Quando il lavoro diventa dipendenza: essere un workaholic

La dipendenza da lavoro (workaholism o work addiction) è stata individuata nel 1971 dallo psicologo Wayne Oates. Consiste in atteggiamenti mentali e comportamenti specifici che influenzano il benessere psicofisico del lavoratore e le sue relazioni interpersonali.

Il workaholic, in genere, dedica gran parte della sua giornata al lavoro, in maniera del tutto volontaria, senza che ci siano pressioni da parte del capo o dell’azienda. Pensa di continuo alle scadenze, agli appuntamenti, alle attività che deve svolgere; si sente inquieto quando non lavora.

Ha sbalzi d’umore e può abusare di sostanze stimolanti (come la caffeina) o psicoattive, per mantenere i ritmi autoimposti. Il workaholic tende a trascurare le relazioni sociali con varie conseguenze a livello psico-fisico. Può infatti sviluppare la sindrome da burnout, disturbi d’ansia e iniziare a soffrire di scompensi cardiaci e squilibri alimentari. Le ripercussioni sono negative e si estendono al rapporto di coppia, alla vita familiare e sociale
La dipendenza da lavoro non è facilmente individuabile ed è un fenomeno ancora sottovalutato. In effetti, essendo collegato al lavoro e alla produttività sembra socialmente accettato, e addirittura visto come un mezzo di affermazione sociale che determina uno status.
Rispetto ad altre tipologie di dipendenze, chi si dedica “anima e corpo” al lavoro viene visto come uno “stakanovista”, quasi ammirato per la sua costanza. Una persona che lavora molto, anche quando in realtà non dovrebbe. Così il workaholic viene considerato come un individuo che “si impegna” ed è considerato positivamente, mentre i suoi lati di disagio vengono spesso sottovalutati.

Ci sono alcune caratteristiche che differenziano un lavoratore impegnato da un workaholic. Un conto, infatti, è lavorare troppo, un altro è “lavorare in modo compulsivo”. Nel primo caso si riesce a stabilire un confine tra vita professionale e vita privata, e ancora si apprezza la possibilità di godere del weekend per staccare, rilassarsi e dedicarsi ad altro. Nel caso del workaholic, invece, si viene completamente assorbiti dal proprio lavoro. Si potrebbe quasi dire che il workaholic considera il lunedì “il giorno in assoluto più piacevole della settimana”.

Le motivazioni che possono scatenare questo tipo di dipendenza sono diverse. I workaholic sono spesso cresciuti in un ambiente familiare in cui l’amore e l’approvazione da parte dei propri genitori era legato ai successi ottenuti. Oppure si sentivano spinti a fare sempre di più e meglio, per rispondere ad aspettative esagerate e irrealistiche. Insomma, l’unico modo per “valere qualcosa” risultava raggiungere una realizzazione professionale.

workaholic possono anche essere particolarmente ambiziosi: non si accontentano di un lavoro qualsiasi, perché la loro (bassa) autostima, è legata al successo e ai soldi. Tenersi sempre impegnati può nascondere l’esigenza di scappare da rapporti interpersonali, oppure di colmare un vuoto interiore, in modo da evitare di sentire e di pensare. E a pagarne le spese molto spesso sono i familiari e tutte le persone vicine al workaholic, che non sempre si rende conto di avere un problema.

Per ritrovare un equilibrio, e quindi uscire da questa dipendenza, il primo passo è abbandonare il perfezionismo e imparare a delegare, stabilendo alcuni limiti: per esempio, lavorare non più di 45 ore a settimana.
I rapporti sociali devono tornare ad avere spazio e importanza: può essere utile ritagliarsi del tempo di qualità da trascorrere con familiari e amici. Ma anche pianificare in anticipo il tempo libero ed evitare di parlare di lavoro a ogni occasione.
L’obiettivo da perseguire è dormire di più e meglio, concedersi i pasti seduti usufruendo di tutto il tempo necessario, dedicarsi a un’attività sportiva che possa rigenerare non solo il corpo, ma anche lo spirito

E’ possibile che tutto questo risulti particolarmente difficile pur essendoci la motivazione. In tal caso può essere d’aiuto un percorso psicologico che aiuti la persona ad affrontare le problematiche che sono alla base della dipendenza e riattivare un percorso di vita più sano ed equilibrato.

Alcol e adolescenza

L’uso di alcol è ampiamente diffuso tra i giovani. Le sue manifestazioni sono cambiate negli anni e lo scenario che oggi ci troviamo di fronte è diventato sempre più complesso.

L’età della prima bevuta si è abbassata notevolmente rispetto al passato: si beve già intorno agli 11 anni.

Tra i ragazzi tra gli 11 e i 15 anni la modalità più utilizzata è quella di un abuso di alcol concentrato in singole occasioni, in particolare, nei fine settimana: alle feste, durante gli aperitivi, in discoteca, raramente da soli. Ma in una stessa sera è possibile che si concentrino molte bevute.

Questo tipo di modalità è quella del binge drinking che letteralmente significa “abbuffata alcolica”.

Lo  scopo principale di queste bevute compulsive è la perdita di controllo,  l’ubriacatura. Spesso quindi la sostanza rappresenta solo un mezzo e non il fine.

La prima intossicazione alcolica si verifica di solito intorno ai 13 anni, l’abuso tende poi ad intensificarsi durante l’adolescenza mostrando un picco massimo tra i 18 e i 22 anni, con un tasso più elevato in particolare tra i giovani studenti universitari.

Altre modalità del bere non meno pericolose si sono diffuse già da un po’ tra gli adolescenti.

Il drelfie (da drunk + selfie) che consiste nel farsi fotografare ubriachi, nelle peggiori condizioni, mentre si vomita in uno stato di semi incoscienza. Le foto sono poi messe a disposizione del web a caccia di “like”.

Anche il pub crawl è una nuova moda rischiosa che consiste nel bere alcolici in diversi pub nell’arco di una sola serata, solitamente muovendosi a piedi da un locale all’altro. Normalmente il numero di pub visitati in un pub crawl è un multiplo di 3 fino ad un massimo di 18.

E per finire  l’eyeballing, alcol negli occhi. È la moda di portare l’imboccatura di una bottiglia (di vodka, ad esempio) a livello dell’occhio, come se la si stesse bevendo, per ottenere, si dice, effetti di euforia ed ebbrezza. Ma i ragazzi che praticano l’eyeballing ci arrivano già talmente ubriachi che è difficile credere che l’effetto sia reale, anche perché tale pratica provoca persino una temporanea cecità e può causare danni oculari permanenti.

Nel 2019 è stata effettuata una  ricerca dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, effettuata su un campione di  518 studenti di età compresa tra i 13 e i 19 anni molto interessante.

Non si parla di vera e propria dipendenza ma piuttosto  di un utilizzo occasionale correlato a momenti sia positivi che negativi della vita dei ragazzi.

Una cattiva abitudine che produce alterazioni a livello neurologico, cardiaco, gastrointestinale, ematico, immunitario, endocrino e muscolo-scheletrico, gravi conseguenze che spesso i ragazzi neanche conoscono.

Nel breve termine le conseguenze e le azioni che possono mettere a rischio la vita, come il coma etilico o gli incidenti stradali rischiano di ledere l’identità dell’individuo, in un periodo della vita in cui questa stessa identità personale è in fase di formazione. 

Nel lungo termine invece l’alcol può diventare un vero e proprio regolatore emotivo, l’unico modo per “stare” in gruppo. Ogni situazione può dover essere mediata dall’alcol: si beve per dimenticare o per festeggiare: se una storia d’amore finisce oppure se la squadra del cuore vince una partita. Si beve quindi per sfuggire alle emozioni negative e per esaltare quelle positive senza conoscerne bene le pericolose conseguenze

Succede anche che, in maniera più intenzionale, gli adolescenti bevano per trasgredire pur conoscendone i rischi. In questo caso l’alcol, vietato fino ai 18 anni, diventa, prima di questa età, un comportamento di rottura, col quale l’adolescente sfida il rischio e il mondo adulto per trovare la sua identità.

La necessità di attuare strategie terapeutiche e di prevenzione è fuori discussione ma è importante che la prevenzione inizi in famiglia.

Credo siano molto interessanti  i 10 consigli ai genitori e ai familiari proposti dall’Osservatorio su fumo, alcol e droga dell’Istituto Superiore di Sanità, spunti di riflessione interessanti.

1) Provocateli: smontate con loro gli spot televisivi, analizzate i comportamenti socialmente accettati e diffusi, stimolateli a distinguersi dal branco e a essere informati.

2) Date un buon esempio: se consumate alcolici in casa, fate in modo che siano una componente ordinaria ma moderata dei pasti, senza eccessi. Dimostrate loro che ci si diverte e si sta bene anche senza alcol.

3) Informateli: parlate loro dell’alcol e dei possibili danni ad esso associati sin da bambini, non aspettate l’adolescenza, periodo di ribellione e sfida verso il “buon senso” degli adulti.

4) Distinguete: ci sono persone a cui l’alcol fa più male che ad altri. Sono i ragazzi con meno di 16 anni, ancora particolarmente vulnerabili, le femmine, che riescono a eliminare la metà della quantità di alcol che smaltisce un organismo maschile, chi deve guidare, che a qualsiasi età può diventare un pericolo mortale per sé e per gli altri.

5)  Allertate le ragazze: oltre al fatto, già citato, che le donne soffrono gli effetti negativi dell’alcol più dei maschi, vanno tenuti presenti i pericoli legati al genere femminile, come il rischio di gravidanze indesiderate o infezioni sessualmente trasmesse, oltre ai danni per il feto in una futura maternità.

6) Educateli alla differenza fra uso e abuso: assicuratevi che abbiano presenti i rischi legati alla perdita di controllo e all’ alterazione delle proprie capacità, alla guida, in un locale, di fronte al giudizio di estranei e amici.

7)  Insegnate loro a leggere le etichette: che sappiano cos’è la gradazione alcolica e diventino consumatori consapevoli.

8) Fate loro sapere che l’alcol dà dipendenza.

9) Offrite loro la possibilità di divertirsi con gli amici, a casa e fuori, imparando che esiste una convivialità analcolica.

10)  Vigilate su di loro.  Non potrete proteggerli 24 ore su 24, ma tenete gli occhi e i canali di comunicazione sempre aperti.

Spesso è attraverso i genitori che si riesce ad aiutare l’adolescente in difficoltà con delle consulenze che permettano loro di comprendere meglio le dinamiche e il modo di supportare il proprio figlio. Altre volte la richiesta di aiuto diventa il passaggio necessario per un intervento mirato sul ragazzo/a. In ogni caso un’intervento precoce è fondamentale per evitare che al problema dell’alcol ne seguano ancora altri più dannosi per la crescita psicologica dell’adolescente.

Cocaina e comportamento

“Come posso capire se il mio compagno, mia figlia o un mio amico fa uso di cocaina?”

“Quali sono i comportamenti e gli atteggiamenti tipici del cocainomane che devo osservare?”

Riconoscere una persona che fa uso di cocaina non è facile né immediato soprattutto se non la conosciamo bene. Così di fronte a comportamenti sospetti spesso i familiari, amici e conoscenti non sanno cosa pensare o come comportarsi.

Il punto di vista privilegiato è l’osservazione dei comportamenti e dei cambiamenti della persona che temiamo ne faccia uso.

Tra gli effetti a breve termine è possibile osservare:

  • sensazione di aumento delle percezioni;
  • distorsione cognitiva e delle capacità recettive;
  • accentuazione della reattività fisica e mentale;
  • riduzione del sonno e dell’appetito;
  • euforia;
  • maggiore socievolezza;
  • facilità di relazione ed infaticabilità.

Tra quelli a lungo termine associati al comportamento della persona possiamo notare:

  • Minore interesse verso il mondo esterno
  • Sbalzi di umore, aggressività, ricerca di denaro
  • Smarrimento, isolamento, confusione mentale
  • Perdita di interesse per gli stimoli naturali

La cocaina può far insorgere paranoie, manie di persecuzione e disturbi psichiatrici di vario genere, anche se prima dell’uso non c’era alcuna problematica.

La sostanza altera il funzionamento cerebrale quindi la percezione del mondo e i comportamenti della persona.
Infatti è possibile  notare  sbalzi di umore imprevedibili, aggressività e scatti di violenza immotivati oppure chiusura e mancanza di attenzione verso gli altri.

E’ possibile notare giovialità e allegria , ma al tempo stesso confusione  e incapacità  di formulare pensieri coerenti.
Potrebbero anche verificarsi agiti che non si spiegano in modo in altro modo: ad esempio, una persona nota per essere corretta ed onesta, che arriva a rubare denaro o inizia a raccontare tante bugie.

Anche pensare alla possibili cause e osservare se la persona, che temiamo possa far uso di cocaina, si trovi in una di queste situazioni di vulnerabilità può essere una chiave.

  • Ricercare un eccitamento che non si riesce a ottenere dagli stimoli della vita quotidiana.
  • Essere in preda a sentimenti negativi, o relazioni difficili: l’uso di cocaina può apparire allora come una via di fuga.
  • Cercare in maniera erronea un aiuto per avere un rendimento maggiore nello studio e nel lavoro.
  • Rispondere ad un senso di inadeguatezza o tentare di migliorare il proprio status di fronte agli altri.
  • Tentare di allontanare una depressione o dimenticare un trauma mai completamente superato.

La cocaina è una sostanza subdola, crea dipendenza psicologica fin da subito. Di solito chi la utilizza   nega, a sé stesso e agli altri, di avere un grave problema.

Se si pensa o si ha  il sospetto che un familiare  o  un amico  faccia uso di cocaina è importante chiedere aiuto quanto prima. Rivolgendosi ad un professionista delle dipendenze sarà possibile essere guidati e supportati nell’aiutare la persona a prendere consapevolezza del suo problema.

Se tuo figlio assume droga..

I dati relativi al 2018 sul consumo di droghe sono allarmanti in quanto si assiste a un aumento di morti per overdose proprio fra i più giovani, gli adolescenti.

Spesso, proprio per la paura che generano queste notizie, si sceglie la strategia del “tabu” ovvero non se ne parla in famiglia, si allontana l’argomento come una sorta di tentativo di ridurre la paura attraverso la negazione del rischio.

In realtà, oggi è qualcosa di estremamente diffuso e soprattutto molto più accessibile di un tempo, presente in forme nuove, non conosciute e talvolta anche molto più potenti e con effetti collaterali e negativi molto più rapidi, rispetto alle sostanze tipicamente e culturalmente conosciute.

I SEGNALI

Sia per l’immensa vastità delle sostanze a oggi disponibili, per molte delle quali non si conoscono ancora gli effetti, sia per le differenze individuali negli effetti, non è possibile definire segnali certi e univoci.

A livello generale si può notare un cambiamento nel comportamento del figlio, riduzione del rendimento o fallimento scolastico, svogliatezza e tendenza a marinare la scuola, perdita di interesse per attività abituali come sport o hobby.

Perdita delle solite amicizie e l’improvvisa frequentazione di un gruppo nuovo, con cambiamento nel modo di vestire, di relazionarsi in famiglia e di vivere le situazioni familiari con insolito sospetto.

Sono frequenti richieste di denaro accompagnate da scuse costruite perfettamente e difficilmente smascherabili, scomparsa di oggetti di valore da casa, scarso impegno nelle attività, difficoltà a concentrarsi, nel sonno ed estrema stanchezza fisica e alterazione dell’appetito.

Comune anche l’insorgenza di altri comportamenti insoliti, più attività legata ai social, ai video-games e uso di alcol.

Sul piano emotivo può apparire maggiormente aggressivo  irritato e irascibile con cambi repentini di umore, insofferenza, indifferenza verso gli altri e poco disponibile alla collaborazione e all’aiuto anche in faccende abituali.

Sono ovviamente solo alcuni dei segnali e soprattutto tutti riconducibili ad altro, quindi ci vuole estrema cautela e attenzione prima di incorrere in giudizi e sentenza errate.

LE POSSIBILI CAUSE

Non è facile definire le cause. Tra le più intuibili ci sono la facilità con cui è possibile reperire la sostanza, la curiosità nel provare qualcosa di nuovo e nel vedere gli effetti, la voglia di divertirsi, il desiderio di raggiungere uno stato di “sballo” per garantirsi una serata perfetta.

Si ha poi l’influenza del gruppo e la necessità di essere accettato, il desiderio di trasgredire le regole familiari come forma di sperimentazione della propria autonomia.

Più profondamente si osserva una sofferenza e una difficoltà a definire la propria autonomia, personalità e identità, accettando il cambiamento della crescita e la nuova immagine di sé.

Spesso i ragazzi si sentono incompresi, soli, spaventati e sofferenti e la droga risulta una forma di consolazione ottimale e una via per non pensare, per fuggire e stare meglio e aumentare la propria autostima. L’ambiente familiare e i modelli offerti giocano poi un ruolo importante.

È una forma di dipendenza che racchiude in sé tanti significati che non è possibile definire a priori ma bisogna valutare la singola sofferenza.

COME COMPORTARSI?

Infine la parte più complessa per un genitore, il momento dell’azione dopo la scoperta. Anche qui non c’è un comportamento uguale per tutti ma un percorso da costruire con il singolo figlio.

In generale, in caso di sospetto è bene non usare all’insaputa del figlio trucchetti e test per scoprire se realmente usa sostanze, primo non sono fonte di certezza assoluta, e secondo se il ragazzo lo scopre è molto difficile ricucire un dialogo con il rischio di ulteriore allontanamento.

Come prima cosa è bene informarsi sull’argomento così da arrivare preparati e maggiormente sicuri al confronto con il figlio. E’ importante non assumere un tono accusatorio e di rimprovero perchè genererà ulteriore chiusura nel ragazzo che si sentirà incompreso, sbagliato, solo e non si otterrà una sua confidenza.

Scegliere il momento più giusto per affrontare l’argomento, in cui si ha la possibilità di dedicarsi totalmente al ragazzo, senza altri impegni nell’immediato.

Mostrarsi accoglienti, preoccupati, giustificando le proprie parole e aprendosi al dialogo e all’ascolto palesando i rischi e le conseguenze anche gravi.

Pensare di rivolgersi a uno specialista, intraprendendo prima un percorso genitoriale e poi col tempo avvicinare il figlio, rispettando i suoi tempi.

Chiedersi perché e incolparsi ingiustamente come genitori è controproducente, quindi è importante cercare una via di risoluzione che migliori anche l’ambiente famigliare e aumenti le abilità genitoriali meno forti, la capacità empatica e di comprensione del vissuto del figlio, rispettando la sua unicità e accompagnandolo nel difficile momento della crescita.